Il seguente fatto di cronaca, che abbiamo tratto dalla "Frankurter Zeitung" è stato riportato di recente da parecchi giornali parigini:
"Qualche giorno fa si è svolto, davanti al tribunale di Budapest, un singolare processo di istanza di divorzio. Il querelante era il marito, di ventotto anni, diventato cieco durante la guerra e che da allora viveva commerciando in spazzole. Aveva conosciuto la sua futura moglie, priva anche lei della vista, in un asilo per ciechi, e poichè lei gli aveva detto di essere giovane e graziosa, l'aveva sposata. La coppia visse d'amore e d'accordo per un anno, ma la luna di miele presto finì. Amici fidati, come se ne trovano sempre, raccontarono al marito che nel matrimonio egli era stato truggato. Sua moglie, e i fatti lo provarono, non aveva venti anni, ma quarantotto, e non era affatto graziosa. Questa scoperta rese il cieco furioso. Fece a sua moglie violentissimi rimproveri, poi corse dal giudice per chiedere il divorzio. Protestava contro questo imbroglio e sosteneva di avere diritto, malgrado la cecità, ad avere una moglie giovane e affascinante.
"Questa domanda di divorzio mise il giudice in grande incertezza, un caso simile non gli era mai capitato. Il marito - così fu stabilito non aveva assolutamente niente altro da rimproverare alla moglie che la sua età e la mancanza di bellezza. Non fu dato seguito all'istanza."
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28 ottobre 2012
21 dicembre 2011
Il matrimonio moderno
"Quando Kormak chiese in sposa Stengerde e, pensando alla loro felicità futura, compose per lei:Una fuga d'amore fuggiamo,accadde che con franchezza gli risposeAllora lui le parlò solennemente del libero amore, ma lei rispose parlando del matrimonio; e dalla diversa concezione che avevano del loro amore e della felicità insita nell'amore derivò tutta la loro infelicità. Infatti, dove l'amore è legge suprema e la dimora di Freja la meta finale, il rapporto tra uomo e donna è un rapporto d'amore, e, idealmente, un rapporto d'amore libero, sia o non sia consacrato da sacerdoti e funzionari, come doveva essere anche quello di Kormak e Stengerde. Ma il rapporto d'amore tra un uomo e una donna diventa matrimonio quando i due si uniscono nella convinzione che i sentimenti personali, indipendentemente dall'importanza che hanno per loro all'inizio, debbano servire e subordinarsi a un'idea che per entrmambi è superiore all'amore stesso, un'idea tale da pretendere solitamente tutta la loro vita, se non di più. Nel corso del tempo molti matrimoni e rapporti liberi, come quello di Kormak e Stengerde, sono crollati per il continuo titubare tra l'uno e l'altro di questi due ideali." | |
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se fossi così bravo l'avrei scritto io
27 dicembre 2010
L'idiota - parte 1 di 4
Il segreto della vita è non ripetere gli stessi errori.
Perchè il dolore, lo sai, porta alla conoscenza.
E la conoscenza porta alla felicità.
Perchè rileggere le vecchie parole non aiuta a superare.
Anzi, rinnova la sensazione di abbandono.
Perchè, mio caro principe Myskin, già abbandonato una volta ( e solo ora ne ricordo il motivo ), certe cose non hanno una ragione. Non esiste un motivo.
Nastas'ya Filippovna era davvero la donna più bella, la donna più pura, un angelo che ti avrebbe salvato. L'unica degna del tuo innocente e gioioso amore.
E tu eri davvero l'uomo giusto per lei. Quello che aveva sempre sognato.
E avreste davvero avuto una vita felice, mio caro principe Myskin, con il milione e mezzo di rubli della tua eredità, e non te ne sarebbe importato nulla di quegli inetti, stupidi, mediocri mortali che non capendo il tuo animo ti chiamavano "idiota".
Perchè idiota è chi idiota fa, avrebbe risposto un tuo alter-ego, 130 anni dopo, in uno dei film più belli che il mondo abbia creato.
E invece no, mio caro principe.
Nastas'ya non c'è più. Andata via, scappata con il vile Rogozin.
Senza ragione, senza una colpa.
E ora sei qui, a perdonare. Per il tuo animo meravigliosamente puro, scevro di ogni contaminazione.
Probabilmente troverai anche tu la tua felicità. Magari quella Aglaya sposerà la tua ricchezza, e riuscirai a fartela bastare.
Ma io, carissimo principe, della tua storia non voglio saperne più nulla.
Oscura mi rimarrà la tua sorte, come oscuro è il destino degli uomini giusti, liberi, che nulla pretendono, che nulla ottengono.
Non so se avrai Aglaya. Non mi interessa. Non voglio leggerlo.
La tua Nastas'ya non c'è più.
E perchè andare avanti, mio amato principe?
Perchè il dolore, lo sai, porta alla conoscenza.
E la conoscenza porta alla felicità.
Perchè rileggere le vecchie parole non aiuta a superare.
Anzi, rinnova la sensazione di abbandono.
Perchè, mio caro principe Myskin, già abbandonato una volta ( e solo ora ne ricordo il motivo ), certe cose non hanno una ragione. Non esiste un motivo.
Nastas'ya Filippovna era davvero la donna più bella, la donna più pura, un angelo che ti avrebbe salvato. L'unica degna del tuo innocente e gioioso amore.
E tu eri davvero l'uomo giusto per lei. Quello che aveva sempre sognato.
E avreste davvero avuto una vita felice, mio caro principe Myskin, con il milione e mezzo di rubli della tua eredità, e non te ne sarebbe importato nulla di quegli inetti, stupidi, mediocri mortali che non capendo il tuo animo ti chiamavano "idiota".
Perchè idiota è chi idiota fa, avrebbe risposto un tuo alter-ego, 130 anni dopo, in uno dei film più belli che il mondo abbia creato.
E invece no, mio caro principe.
Nastas'ya non c'è più. Andata via, scappata con il vile Rogozin.
Senza ragione, senza una colpa.
E ora sei qui, a perdonare. Per il tuo animo meravigliosamente puro, scevro di ogni contaminazione.
Probabilmente troverai anche tu la tua felicità. Magari quella Aglaya sposerà la tua ricchezza, e riuscirai a fartela bastare.
Ma io, carissimo principe, della tua storia non voglio saperne più nulla.
Oscura mi rimarrà la tua sorte, come oscuro è il destino degli uomini giusti, liberi, che nulla pretendono, che nulla ottengono.
Non so se avrai Aglaya. Non mi interessa. Non voglio leggerlo.
La tua Nastas'ya non c'è più.
E perchè andare avanti, mio amato principe?
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2 dicembre 2010
17 ottobre 2010
Chiudere faccenda Palahniuk con post
Io non ricordo nemmeno dove ho sentito parlare per la prima volta di Fight Club.
Di sicuro non era stata la prima volta che ho sentito parlare di Palahniuk.
Credo sia stato in un Macchiaradio, uno di quei podcast ascoltati mentre stai rimettendo a posto le vecchie videocassette di tuo fratello e non ne puoi più dei Talking Heads.
Il che succede piuttosto raramente, in effetti, ma succede.
Fatto sta che ho sentito parlare di questo film. Di Fight Club. Di David Fincher.
Che poi, peraltro, io non volevo nemmeno vederlo, Fight Club. Perché c’era Brad Pitt e per me – che avevo 14 anni e davvero non capivo un cazzo – Brad Pitt era il male.
Il solito atturoncolo gossip, addominali e bel faccino.
Non capivo davvero un cazzo.
O forse ce n’era una citazione nella Smemo di qualche anno fa. Le cose che possiedi alla fine ti possiedono. Ne fui impressionato.
Vidi il film, in sostanza.
Avete presente la sensazione di quando un tizio che hai appena conosciuto ti chiede qual è il tuo film preferito e tu non hai idea di cosa rispondere, chè ce ne sono troppi e non ti sei mai davvero posto il problema?
Io ce l’ho presente, perché prima di aver visto Fight Club la provavo sempre.
Poi non mi sono posto più il problema.
C’è un sito che qualunque persona che legga più di tre libri all’anno dovrebbe conoscere, e che di sicuro conoscerete. aNobii.
Mi sono iscritto a ‘sta specie di facebook per libri – come me l’aveva presentato il tizio che me l’aveva presentato.
Mi trovavo a visitare le “librerie” della gente, e notavo una costante. Un autore che ricorreva – quando più quando meno – sempre.
Un certo Chuck Palahniuk. Chè poi vallo a sapere che si pronuncia Polànic, in realtà.
Sì, è su aNobii che trovai per la prima volta il suo nome.
Ovviamente comprai subito Fight Club e lo lessi in un paio di giorni, notando che il film non lo aveva per nulla snaturato, come da clichè.
Passò un altro po’ di tempo.
E una mattina, in una libreria in cui non ero mai stato, trovai tutti i suoi libri, in uno scaffale a lui interamente dedicato.
C’era Fight Club, ovviamente. E c’erano Survivor, Invisible Monters, Ninna Nanna, Rabbia, Gang bang.
C’erano tutti e decidi che prima o poi li avrei acquistati tutti. Uno per volta, però. Chè se no avrei fatto solo casino.
Ne presi uno a caso.
“Se stai per metterti a leggere, evita. Tra un paio di pagine vorrai essere da un’altra parte. Perciò lascia perdere. Vattene, sparisci, finchè sei ancora intero. Salvati.
E non vuoi comprarlo, un libro con un incipit così?
Lo lessi. Subito.
E’ un gran libro, Soffocare. Prendetelo, se la scuola/il lavoro vi lascia un po’ di tempo per leggere.
Perché ogni singolo punto e a capo è un pugno in faccia, ogni singola anafora è un calcio negli stinchi, ogni singolo “perché” a inizio periodo è una ginocchiata nelle costole.
Magari è vero che un libro non può cambiare una vita.
Ma una giornata, una settimana. Quelle di sicuro.
26 agosto 2010
Ripiegare sui remainder
Capita che un'associazione ti rubi l'anima e il corpo per un mese.
Capita che alcune belle persone ti entrino dentro e scavino fino a trovare un minuscolo - ma importantissimo - spazio dentro di te, da sempre ostile ai cambiamenti, da sempre ostile alle emozioni.
Capita di stare sotto il sole per 12 ore, di tornare stanco a casa. Di non saper conciliare i tuoi interessi con quelli degli altri, e scegliere di lasciar perdere te stesso.
Capita di non riuscire più a leggere. Dopo 8 mesi e 67 libri.
E allora a quel punto che puoi fare, se non inserire su aNobii l'ennesimo ISBN di Palahniuk? Da divorare dopo i pasti. Nel poco tempo a dispozione.
Pigmeo.
Pigmeo si chiama quel libro.
Ecco, non leggete MAI Pigmeo prima di Fight Club, o di Survivor, o di Invisible Monster.
Non leggetelo mai.
Perchè rimarreste pietrificati e abbandonereste quel geniaccio prima di arrivare a pagina 18.
E non leggetelo appena tornati da scuola, o da lavoro. Altrimenti la vostra avventura finirà a pagina 34.
Parlo per esperienza personale.
Io penso che per leggere una cosa tipo "Inizia qui diciassettesimo resoconto di operativo me, agente numero 67, in arrivo a struttura distribuzione propaganda di religione di città ______ . Sabbath ______ . Denominazione: _______. A scopo cronaca: diavolo Tony ripete di assente, iniziale pubblica apparizione di questo agente dal debaclè di falso Nazione Unita" ci voglia tanto coraggio, tanto tempo, -10° gradi al sole, tanta pazienza.
E io sono un povero pavido superstraimpegnato senza pazienza che muore di caldo.
Purtroppo.
Allora capita di prendere quei libri comprati tanto tempo fa, remainder. Su IBS. Per raggiungere la quota di sconto.
Quei saggetti da 2 soldi, che non valgono di più, ma sempre meglio leggerli.
E capita di trovarti davanti ad Amos Oz, chè fino a ieri non sapevi nemmeno chi fosse.
Il libretto si chiama "Contro il fanatismo".
E' un elogio del compromesso, parola tanto abusata tanto odiata, per quanto mi riguarda.
In ogni caso, è un punto di vista interessante sulla guerra tra Israele e Palestina.
Ed è l'unico libro del mondo in cui potete trovare un "in fondo Bin Laden ci ama".
Leggetelo.
Anche perchè, in fondo in fondo, sono cinque euro...
Capita che alcune belle persone ti entrino dentro e scavino fino a trovare un minuscolo - ma importantissimo - spazio dentro di te, da sempre ostile ai cambiamenti, da sempre ostile alle emozioni.
Capita di stare sotto il sole per 12 ore, di tornare stanco a casa. Di non saper conciliare i tuoi interessi con quelli degli altri, e scegliere di lasciar perdere te stesso.
Capita di non riuscire più a leggere. Dopo 8 mesi e 67 libri.
E allora a quel punto che puoi fare, se non inserire su aNobii l'ennesimo ISBN di Palahniuk? Da divorare dopo i pasti. Nel poco tempo a dispozione.
Pigmeo.
Pigmeo si chiama quel libro.
Ecco, non leggete MAI Pigmeo prima di Fight Club, o di Survivor, o di Invisible Monster.
Non leggetelo mai.
Perchè rimarreste pietrificati e abbandonereste quel geniaccio prima di arrivare a pagina 18.
E non leggetelo appena tornati da scuola, o da lavoro. Altrimenti la vostra avventura finirà a pagina 34.
Parlo per esperienza personale.
Io penso che per leggere una cosa tipo "Inizia qui diciassettesimo resoconto di operativo me, agente numero 67, in arrivo a struttura distribuzione propaganda di religione di città ______ . Sabbath ______ . Denominazione: _______. A scopo cronaca: diavolo Tony ripete di assente, iniziale pubblica apparizione di questo agente dal debaclè di falso Nazione Unita" ci voglia tanto coraggio, tanto tempo, -10° gradi al sole, tanta pazienza.
E io sono un povero pavido superstraimpegnato senza pazienza che muore di caldo.
Purtroppo.
Allora capita di prendere quei libri comprati tanto tempo fa, remainder. Su IBS. Per raggiungere la quota di sconto.
Quei saggetti da 2 soldi, che non valgono di più, ma sempre meglio leggerli.
E capita di trovarti davanti ad Amos Oz, chè fino a ieri non sapevi nemmeno chi fosse.
Il libretto si chiama "Contro il fanatismo".
E' un elogio del compromesso, parola tanto abusata tanto odiata, per quanto mi riguarda.
In ogni caso, è un punto di vista interessante sulla guerra tra Israele e Palestina.
Ed è l'unico libro del mondo in cui potete trovare un "in fondo Bin Laden ci ama".
Leggetelo.
Anche perchè, in fondo in fondo, sono cinque euro...
14 agosto 2010
Giusto quei dieci minuti
Ci sono quei dieci minuti lì.
Quelli che arrivano appena dopo aver finito di leggere un libro, dopo quattro giorni di più o meno intenso impegno.
Allora sfogli l'ultima pagina scritta e controlli che no, non ci sia un altro minicapitoletto.
Guardi l'ultima pagina bianca, lo chiudi.
Stai per rimetterlo in libreria quando ci ripensi.
Vai a rileggerti l'incipit, allora, e cerchi i segni a matita con cui ha costellato la povera carta.
Rileggi anche quei passi, che speri possano rimanerti.
Lo chiudi di nuovo, lo metti finalmente in libreria.
Ne cerchi un altro, tra quelli che ancora non hai toccato.
Lo apri. Leggi le prime parole.
Ti convince? Lo prendi.
Non ti convince? Ne apri un altro, ripetendo lo stesso rito.
Forse era questo che la mia professoressa d'italiano intendeva per "rapporto carnale" con la lettura.
E' una cosa bella, ve lo assicuro.
( Chè poi ho appena finito di leggere Narciso e Boccadoro, e io continuo a sostenere di arrivarci sempre troppo tardi, alle cose. Ma questo è un altro discorso. )
Quelli che arrivano appena dopo aver finito di leggere un libro, dopo quattro giorni di più o meno intenso impegno.
Allora sfogli l'ultima pagina scritta e controlli che no, non ci sia un altro minicapitoletto.
Guardi l'ultima pagina bianca, lo chiudi.
Stai per rimetterlo in libreria quando ci ripensi.
Vai a rileggerti l'incipit, allora, e cerchi i segni a matita con cui ha costellato la povera carta.
Rileggi anche quei passi, che speri possano rimanerti.
Lo chiudi di nuovo, lo metti finalmente in libreria.
Ne cerchi un altro, tra quelli che ancora non hai toccato.
Lo apri. Leggi le prime parole.
Ti convince? Lo prendi.
Non ti convince? Ne apri un altro, ripetendo lo stesso rito.
Forse era questo che la mia professoressa d'italiano intendeva per "rapporto carnale" con la lettura.
E' una cosa bella, ve lo assicuro.
( Chè poi ho appena finito di leggere Narciso e Boccadoro, e io continuo a sostenere di arrivarci sempre troppo tardi, alle cose. Ma questo è un altro discorso. )
6 agosto 2010
Identità - NuDISti puntata 3
Scarica il pezzo in mp3
Identità.
Ecco, sinceramente non è una parola in cui credo molto.
A me sa tanto di fascismo. Nazionalismo. Di "Noi siamo i migliori, e perchè cambiare? Stiam bene così, no? Abbiamo le nostre usanze, ci viviamo decentemente. Abbiamo un'identità".
L'ego, il gruppo, la stessa famiglia, lo stato.
E chissenefrega del diverso.
Io non credo di riuscire a parlare obiettivamente di me, anche se poi è più o meno quello che tento di fare da tre settimane.
In ogni caso, se dovessi dare una definizione del mio minuscolo ego, direi che sono uno che ha voglia di ascoltare gli altri.
Identità.
Ecco, sinceramente non è una parola in cui credo molto.
A me sa tanto di fascismo. Nazionalismo. Di "Noi siamo i migliori, e perchè cambiare? Stiam bene così, no? Abbiamo le nostre usanze, ci viviamo decentemente. Abbiamo un'identità".
L'ego, il gruppo, la stessa famiglia, lo stato.
E chissenefrega del diverso.
Io non credo di riuscire a parlare obiettivamente di me, anche se poi è più o meno quello che tento di fare da tre settimane.
In ogni caso, se dovessi dare una definizione del mio minuscolo ego, direi che sono uno che ha voglia di ascoltare gli altri.
Perché sono fondamentalmente egoista e cerco di migliorare me stesso. Perchè credo sia giusto così. Forse perché mi sentirei in colpa a fare altrimenti.
O forse, più semplicemente, perchè non credo che la mia identità sia importante e definita. Così importante e definita da permettermi di chiudermi e "ciao, amici, è stato bello".
O forse, più semplicemente, perchè non credo che la mia identità sia importante e definita. Così importante e definita da permettermi di chiudermi e "ciao, amici, è stato bello".
Non sono di quelli si vestono di nero, borchiati, per dimostrare qualcosa. In camera, a parte uno sticker di Londra – peraltro rotto da mia madre -, qualche cd buttato nell’armadio e un paio di libri buttati alla rinfusa sul comodino, non ho nulla di mio.
E credo che in fondo sia giusto così.
O magari è solo perchè sono curioso. E se qualcuno mi parla di un libro, un pezzo di un gruppo giapponese degli anni 70 o una pizzeria, eh, non voglio fare l’intellettualoide da due soldi, io DEVO provare.
E se va male, non è così importante.
Però.
C'è sempre un maledetto però.
E' che a volte si ha voglia di farsi notare, banalmente.
Non avere voglia di ascoltare, ma di farsi ascoltare.
O forse, più semplicemente, di farsi capire.
E allora magari è stupido attaccare una spilletta dei Beatles o – peggio ancora - dei Modena City Ramblers allo zaino, o avere uno sticker di Londra in camera, o andare in giro con i capelli lunghi.
O magari è stupido leggere "Gente di Dublino" alle undici meno un quarto in pieno centro, davanti a quella specie di colonna dalle vaghe parvenze falliche che i Campobassani sono soliti chiamare “ monumento dei caduti, e la gente che ti passa davanti con una voglia matta di chiederti cosa cazzo tu stia facendo, a quell'ora, con quelle spille, con quei capelli e quel libro.
E se va male, non è così importante.
Però.
C'è sempre un maledetto però.
E' che a volte si ha voglia di farsi notare, banalmente.
Non avere voglia di ascoltare, ma di farsi ascoltare.
O forse, più semplicemente, di farsi capire.
E allora magari è stupido attaccare una spilletta dei Beatles o – peggio ancora - dei Modena City Ramblers allo zaino, o avere uno sticker di Londra in camera, o andare in giro con i capelli lunghi.
O magari è stupido leggere "Gente di Dublino" alle undici meno un quarto in pieno centro, davanti a quella specie di colonna dalle vaghe parvenze falliche che i Campobassani sono soliti chiamare “ monumento dei caduti, e la gente che ti passa davanti con una voglia matta di chiederti cosa cazzo tu stia facendo, a quell'ora, con quelle spille, con quei capelli e quel libro.
Magari è stupido. Anzi. Sicuramente è stupido. E me ne rendo perfettamente conto.
E la gente del resto non perde l’occasione di farti notare quanto tu sia stupido. Si paga a caro prezzo il nostro esporci all’attenzione degli altri. Magari vieni notato, ma nessuno vuole stare ad ascoltarti. Magari vieni ascoltato, ma nessuno ha davvero voglia di capirti. La verità è che la maggior parte delle persone ha la stessa apertura mentale di un prete degli anni ’50. Anche se proprio quelle persone hanno 20 anni, si ubriacano tutte le sere di musica orrenda e “un’altra pinà colada, prego” – non che abbia qualcosa contro le pina colada, intendiamoci – e vanno in discoteca e ascoltano David Guetta. O meglio. Forse proprio per questo motivo.
Intendiamoci, io non credo di essere migliore di loro. Probabilmente, se ne avessi l’opportunità, mi comporterei come loro. Probabilmente, in questo momento, io mi sto effettivamente comportando come loro, criticandoli.
Ma non è tanto questo il punto.
La gente magari te lo chiede, cosa cazzo tu stia facendo. Con quell’aria lì. Con l’aria di chi ha cose migliori da fare, con l’aria di saperne più di te. Con l’aria di “Vai a divertirti, te. Cosa ci fai qui?”
Non si è felici quando si capisce di essere diversi dalla maggior parte degli altri. Non migliori, eh. Assolutamente. Solo, un po’ diversi.
Ma quel momento lì. Quel momento in cui un signore sulla sessantina ti guarda, sorride, ti chiede cosa stai leggendo. Ti dice che quando aveva la tua età - e ormai sono passati tanti anni, giovanotto – anche lui aveva letto quel libro. E che quel libro, Gente di Dublino, lo ha segnato. Che Joyce è un grandissimo narratore, che fa riflettere, sognare, viaggiare. Che quel libro l’ha letto 3 volte, una volta per ogni fase della sua vita, e ogni volta gli era sembrato diverso, perché a ogni età si colgono aspetti diversi delle cose, perché le si guarda da diverse angolazioni, diversi punti di vista. E che dovresti leggere anche l’Ulisse e Finnegans Wake. Perché sono ancora meglio, te lo assicura. Perché anche Joyce era andato via dalla patria, dall’Irlanda, da Dublino, dalla SUA Dublino, perché non era notato, perché non era ascoltato, perché non si sentiva capito. Come lui 40 anni fa non si sentiva capito. Come probabilmente tu – adesso, giovanotto - non ti senti capito.
Quel momento, dicevo.
Quel momento in cui senti di aver trovato un posto, una casa, nel cuore ( anzi, va, diciamo nella mente ) di una persona con 40 anni più di te, ma più giovane di tutti gli altri che conosci.
Quel momento, quel preciso istante.
Quello vale una vita.
Quel momento, quel preciso istante.
Quello vale una vita.
30 luglio 2010
Scelte. Difficili.

Posto che ho voglia di comprare una t-shirt che dica qualcosa di me.
( invece delle solite bianco-arancione marchio Fila e chissenefrega )
Posto che sul sito dell'ottimo Chuck sono in vendita delle magliette, al modico prezzo di 20 dollari.

Posto che la più bella è nettamente quella di Invisible Monsters, che però ancora non l'ho letto, mannaggia.
Posto che ci sono anche quelle di Survivor e di Choke.
Quale prendo?
25 luglio 2010
Kafka sulla spiaggia - H.Murakami
Ogni dolore è unico, e anche le cicatrici hanno una forma diversa per ciascuno. Perciò nel combattere la discrimazione e l'ingiustizia, credo di non essere secondo a nessuno. Ma se c'è una cosa che mi indigna ancora di più, sono le persone prive di immaginazione. Quelle che T.S. Eliot chiamava "gli uomini vuoti". Persone insensibili che coprono questa loro mancanza di immaginazione, questo loro vuoto, con un ammasso di segatura, e senza rendersene minimamente conto se ne vanno in giro per il mondo a tentare di imporre a tutti i costi questa loro ottusità agli altri, mettendo in fila parole vuote e senza senso.
24 luglio 2010
La giornata di uno scrutatore
Io, personalmente, sono convinto che le cose migliori siano quelle che finiscono prima di averti annoiato.
Amo le persone che ti dicono quello che pensano o quello che vogliono da te, direttamente e in breve. Evitando inutili telefonate di 6 ore o monologhi imperanti sulle loro interrogazioni.
Amo, soprattutto ultimamente, i programmi radio da 15 o 30 minuti.
Amo i cortometraggi e spesso mi trovo persino a dover interrompere la visione di un film, se non voglio correre il rischio di perdermi tutto.
E lo so che quel tizio che parla sempre alla fine è simpatico, e che non si interrompe un'emozione, e che i radiodrammi da 2 ore sono fantastici, ma son fatto così.
La stessa cosa vale per i libri, ovviamente.
Amo poter stare fermo su una parola per 3-4 minuti, rileggere interi capitoli, sottolineare quella frase che probabilmente potrà servire.
E soprattutto, amo poterlo fare senza il panico dell' "oddio, sono da 10 giorni su 'sta roba e ancora non ne ho letto un terzo".
Preferisco l'incompiutezza alla ridondanza e il finale aperto allo spiegone delle ultime 10 pagine.
Odio profondamente le opere che finiscono così come erano iniziate. Anzi, mi fanno paura. Perchè riproducono quella circolarità temporale, quell'eterno ritorno, quella routine inevitabile con cui l'uomo deve necessariamente misurarsi.
Perchè - anche se a volte quelli che mi stanno intorno lo pensano- non sono uno che fa delle mattonate insopportabili la sua ragione di vita.
Cerco di conoscere, cerco di sapere, cerco di migliorarmi.
Ma se proprio non riesco ad andare avanti, faccio una pausa. O lascio perdere del tutto.
Ed è per questo che "La giornata d'uno scrutatore", libro che avevo in testa di leggere da parecchio tempo, mi è piaciuto molto.
Ne avevo sentito parlare ad una conferenza. Il tema mi interessava ( la giornata elettorale di un istituto di cura gestito da suore ), l'ho comprato e letto in un paio d'ore.
E probabilmente non è nulla di così eccezionale, eh.
Forse non è un caso se è uno dei libri di Calvino meno conosciuti.
Forse non è un caso se, per trovarlo, ho dovuto girare una mezza dozzina di librerie prima di decidere di comprarlo su IBS, "chè se no non se ne esce vivi", come ha detto mia madre.
Ma per me è un capolavoro.
Una di quelle piccole cose che vanno per la loro strada e ti dicono quello che vogliono dirti. Senza troppi fronzoli, senza chiederti più di tanto.
Dicendoti molto senza parlare troppo.
Amo le persone che ti dicono quello che pensano o quello che vogliono da te, direttamente e in breve. Evitando inutili telefonate di 6 ore o monologhi imperanti sulle loro interrogazioni.
Amo, soprattutto ultimamente, i programmi radio da 15 o 30 minuti.
Amo i cortometraggi e spesso mi trovo persino a dover interrompere la visione di un film, se non voglio correre il rischio di perdermi tutto.
E lo so che quel tizio che parla sempre alla fine è simpatico, e che non si interrompe un'emozione, e che i radiodrammi da 2 ore sono fantastici, ma son fatto così.
La stessa cosa vale per i libri, ovviamente.
Amo poter stare fermo su una parola per 3-4 minuti, rileggere interi capitoli, sottolineare quella frase che probabilmente potrà servire.
E soprattutto, amo poterlo fare senza il panico dell' "oddio, sono da 10 giorni su 'sta roba e ancora non ne ho letto un terzo".
Preferisco l'incompiutezza alla ridondanza e il finale aperto allo spiegone delle ultime 10 pagine.
Odio profondamente le opere che finiscono così come erano iniziate. Anzi, mi fanno paura. Perchè riproducono quella circolarità temporale, quell'eterno ritorno, quella routine inevitabile con cui l'uomo deve necessariamente misurarsi.
Perchè - anche se a volte quelli che mi stanno intorno lo pensano- non sono uno che fa delle mattonate insopportabili la sua ragione di vita.
Cerco di conoscere, cerco di sapere, cerco di migliorarmi.
Ma se proprio non riesco ad andare avanti, faccio una pausa. O lascio perdere del tutto.
Ed è per questo che "La giornata d'uno scrutatore", libro che avevo in testa di leggere da parecchio tempo, mi è piaciuto molto.
Ne avevo sentito parlare ad una conferenza. Il tema mi interessava ( la giornata elettorale di un istituto di cura gestito da suore ), l'ho comprato e letto in un paio d'ore.
E probabilmente non è nulla di così eccezionale, eh.
Forse non è un caso se è uno dei libri di Calvino meno conosciuti.
Forse non è un caso se, per trovarlo, ho dovuto girare una mezza dozzina di librerie prima di decidere di comprarlo su IBS, "chè se no non se ne esce vivi", come ha detto mia madre.
Ma per me è un capolavoro.
Una di quelle piccole cose che vanno per la loro strada e ti dicono quello che vogliono dirti. Senza troppi fronzoli, senza chiederti più di tanto.
Dicendoti molto senza parlare troppo.
4 giugno 2010
Il Codice da Vinci
"Guarda, sto andando avanti solo per inerzia. Ma chi me l'aveva detto di leggerlo?"
"Quella di Inglese."
"Ah, ecco, ora si spiega tutto..."
Probabilmente perchè ho un problema mai risolto con i libri che superano le 400 pagine.
Probabilmente perchè è il mio primo romanzo letto in inglese.
Probabilmente perchè i "40 million copies sold" sono un aspetto più negativo che positivo, per me.
Forse, semplicemente, perchè è la roba più prevedibile e scontata che mi sia mai ritrovato a sfogliare.
"Quella di Inglese."
"Ah, ecco, ora si spiega tutto..."
Probabilmente perchè ho un problema mai risolto con i libri che superano le 400 pagine.
Probabilmente perchè è il mio primo romanzo letto in inglese.
Probabilmente perchè i "40 million copies sold" sono un aspetto più negativo che positivo, per me.
Forse, semplicemente, perchè è la roba più prevedibile e scontata che mi sia mai ritrovato a sfogliare.
1 giugno 2010
Ordini estivi
2001 Odissea nello spazio, di A.C.Clark
Addio e grazie per tutto il pesce, D. Adams
Praticamente innocuo, D.Adams
Ristorante al termine dell'universo, D. Adams
La vita, l'universo e tutto quanto, D.Adams
Commedie vol.1, Aristofane
Fight Club, C.Palahniuk
Il gioco dell'angelo, C.R. Zafon
La giornata di uno scrutatore, Italo Calvino
Scritti corsari, P.P. Pasolini
Zeitoun, D.Eggers
E i ringraziamenti di IBS non mi serviranno a un'angelica mazzuola.
22 maggio 2010
I did it again
Io ho una teoria sui libri. Secondo me, tutta la letteratura può essere divisa in due grandi gruppi: i libri che bisogna leggere per sapere di cosa parlino e i classici.
I classici sono quei libri che, bene o male, tutti conoscono. I libri che segnano dei periodi storici, che entrano a far parte della mentalità di un popolo, i libri la cui trama può essere chiesta anche a un bambino.
Anche se, in realtà, sono davvero in pochi ad averli letti.
Il "Don Chisciotte", ovviamente, è un classico.
[...]
Io sono certo solo di una cosa. Sono convinto che, alla fine, bisogna rivolgere la nostra attenzione sulle cose che restano.
E cosa resta, di un'opera incredibilmente complessa come il Don Chisciotte?
Resta l'ingenuità, restano i mulini a vento, resta la lotta contro chi non potrà mai essere sconfitto. Restano le sorprese di un'anima tiranna, che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti, che ti apre nuovi occhi e riaccende i sentimenti, come avrebbe cantato Guccini 300 anni dopo. Resta la solitaria guerra di un cavaliere senza paura, senza timori, e la sua voglia matta di vendicare le offese, di raddrizzare i torti, di riparare le ingiustizie, di distruggere gli abusi.
Resta questo.
E resta, nel lettore, una consapevolezza. La consapevolezza che, forse, il nostro eroe dell'eterna giovinezza aveva ragione. Che quella fiamma nel suo potente guscio di ferro, forse, gli dettava la strada giusta. Che Dulcinea, anche se in realtà si chiamava Aldonza, era davvero la donna più bella del mondo.
La prese bene, quell'altra volta.
Chissà come si comporterà ora.
I classici sono quei libri che, bene o male, tutti conoscono. I libri che segnano dei periodi storici, che entrano a far parte della mentalità di un popolo, i libri la cui trama può essere chiesta anche a un bambino.
Anche se, in realtà, sono davvero in pochi ad averli letti.
Il "Don Chisciotte", ovviamente, è un classico.
[...]
Io sono certo solo di una cosa. Sono convinto che, alla fine, bisogna rivolgere la nostra attenzione sulle cose che restano.
E cosa resta, di un'opera incredibilmente complessa come il Don Chisciotte?
Resta l'ingenuità, restano i mulini a vento, resta la lotta contro chi non potrà mai essere sconfitto. Restano le sorprese di un'anima tiranna, che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti, che ti apre nuovi occhi e riaccende i sentimenti, come avrebbe cantato Guccini 300 anni dopo. Resta la solitaria guerra di un cavaliere senza paura, senza timori, e la sua voglia matta di vendicare le offese, di raddrizzare i torti, di riparare le ingiustizie, di distruggere gli abusi.
Resta questo.
E resta, nel lettore, una consapevolezza. La consapevolezza che, forse, il nostro eroe dell'eterna giovinezza aveva ragione. Che quella fiamma nel suo potente guscio di ferro, forse, gli dettava la strada giusta. Che Dulcinea, anche se in realtà si chiamava Aldonza, era davvero la donna più bella del mondo.
La prese bene, quell'altra volta.
Chissà come si comporterà ora.
21 maggio 2010
14 maggio 2010
13 maggio 2010
Vita di Galileo
E alla terza, finalmente, ci siamo.
A dire il vero, avevo approcciato questo testo con una certa diffidenza.
Dopo aver letto "L'opera da tre soldi" che, oltre ad essere piuttosto noiosa, mi aveva lasciato poco o nulla, avevo pensato che il mio rapporto con Brecht fosse finito lì.
Un bel romanzo, Gli affari del signor Giulio Cesare, e un testo teatrale letto controvoglia.
Nonostante tutto, gli ho dato un'altra possibilità, e adesso ne sono felice.
Perchè "sì, io credo alla dolce violenza che la ragione usa agli uomini. A lungo andare non le sanno resistere".
Perchè "i moti dei corpi celesti sono divenuti più chiari; ma ai popoli restano pur sempre imprescrutabili i moti dei potenti".
E -soprattutto- perchè "chi non conosce la verità è soltanto uno sciocco; ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un criminale".
A dire il vero, avevo approcciato questo testo con una certa diffidenza.
Dopo aver letto "L'opera da tre soldi" che, oltre ad essere piuttosto noiosa, mi aveva lasciato poco o nulla, avevo pensato che il mio rapporto con Brecht fosse finito lì.
Un bel romanzo, Gli affari del signor Giulio Cesare, e un testo teatrale letto controvoglia.
Nonostante tutto, gli ho dato un'altra possibilità, e adesso ne sono felice.
Perchè "sì, io credo alla dolce violenza che la ragione usa agli uomini. A lungo andare non le sanno resistere".
Perchè "i moti dei corpi celesti sono divenuti più chiari; ma ai popoli restano pur sempre imprescrutabili i moti dei potenti".
E -soprattutto- perchè "chi non conosce la verità è soltanto uno sciocco; ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un criminale".
2 maggio 2010
L'insostenibile leggerezza dell'essere
"Tomas ama Tereza, Tereza ama Tomas, Franz ama Sabina, Sabina ama Franz" recita il retro di copertina, e in effetti si potrebbe riassumere tutto così, in 2 sapienti righe.
Allora arrivi alla tanto agognata pagina 318, lo chiudi e pensi che dopo 3 giorni di intensa lettura potrebbe non rimanerti nulla.
Poi, però, ci ripensi. E lo riapri. E vedi che quasi per ogni pagina c'è un passo sottolineato.
Prendo a caso?
Prendo a caso.
Pagina 19
"Tomas allora non si rendeva conto che le metafore sono una cosa pericolosa. Con le metafore è meglio non scherzare. Da una sola metafora può nascere l'amore."
Pagina 97
"Il tradimento. Fin da piccoli il papà e il maestro ci dicono che è la cosa peggiore che si possa immaginare. Ma che cos'è questo tradire? Tradire significa uscire dai ranghi e partire verso l'ignoto."
Pagina 262
"I movimenti politici non si fondano su posizioni razionali ma su idee, immagini, parole, archetipi che tutti insieme vanno a costituire questo o quel kitsch politico."
E allora, tra 10 anni, probabilmente non ti rimarrà nulla della trama. Solo qualche idea confusa su "Tomas che ama Sabina e Tereza che ama Franz, o forse il contrario, ora non ricordo".
Ma quelle frasi, una per ogni pagina, e le idee che si portano dietro, quelle sì. Quelle rimarranno.
Allora arrivi alla tanto agognata pagina 318, lo chiudi e pensi che dopo 3 giorni di intensa lettura potrebbe non rimanerti nulla.
Poi, però, ci ripensi. E lo riapri. E vedi che quasi per ogni pagina c'è un passo sottolineato.
Prendo a caso?
Prendo a caso.
Pagina 19
"Tomas allora non si rendeva conto che le metafore sono una cosa pericolosa. Con le metafore è meglio non scherzare. Da una sola metafora può nascere l'amore."
Pagina 97
"Il tradimento. Fin da piccoli il papà e il maestro ci dicono che è la cosa peggiore che si possa immaginare. Ma che cos'è questo tradire? Tradire significa uscire dai ranghi e partire verso l'ignoto."
Pagina 262
"I movimenti politici non si fondano su posizioni razionali ma su idee, immagini, parole, archetipi che tutti insieme vanno a costituire questo o quel kitsch politico."
E allora, tra 10 anni, probabilmente non ti rimarrà nulla della trama. Solo qualche idea confusa su "Tomas che ama Sabina e Tereza che ama Franz, o forse il contrario, ora non ricordo".
Ma quelle frasi, una per ogni pagina, e le idee che si portano dietro, quelle sì. Quelle rimarranno.
28 aprile 2010
Lettera al padre, F.Kafka
La "Lettera al padre" ha il pregio indiscutibile di presentare l'autore stesso come un personaggio.
E' sicuramente uno sfogo, dunque. Sicuramente un tentativo di razionalizzazione del rapporto di Kafka con quella figura così opprimente e sovrastante. Sicuramente un documento eccezionale per interpretare al meglio tutte le sue opere.
Ma è soprattutto una grandissima opera letteraria, capace - come tutte le grandissime opere letterarie - di sottrarti al tuo piccolo mondo, stupido e adolescenziale, e di trascinarti in universi fino ad ora sconosciuti.
Con la consapevolezza che, da quel viaggio, potrai portarti dietro qualcosa, e che, magari, alla fine, avrai capito qualcosa.
Anche relativamente al tuo piccolo mondo, stupido e adolescenziale.
E' sicuramente uno sfogo, dunque. Sicuramente un tentativo di razionalizzazione del rapporto di Kafka con quella figura così opprimente e sovrastante. Sicuramente un documento eccezionale per interpretare al meglio tutte le sue opere.
Ma è soprattutto una grandissima opera letteraria, capace - come tutte le grandissime opere letterarie - di sottrarti al tuo piccolo mondo, stupido e adolescenziale, e di trascinarti in universi fino ad ora sconosciuti.
Con la consapevolezza che, da quel viaggio, potrai portarti dietro qualcosa, e che, magari, alla fine, avrai capito qualcosa.
Anche relativamente al tuo piccolo mondo, stupido e adolescenziale.
21 aprile 2010
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"Nel momento in cui questo libro va in stampa, l'omosessualità è un reato in 80 paesi del mondo."
E' così che si apre la nota conclusiva dell'ultimo romanzo di Ivan Cotroneo, "Un bacio".
Certo, il tema dell'omofobia non è nuovo. Forse non se ne sentiva il bisogno, di un altro intellettuale che ci spiegasse perchè discriminare è sbagliato.
Non è nuovo. Anzi, potrebbe sembrare ormai logoro.
Saggi, report giornalistici, quelle tanto pretensiose quanto controproducenti campagne pubblicitarie genere "siamo tutti diversi, rispettiamo la diversità".
Ma il migliore articolo di opinione, la migliore inchiesta del migliore settimanale italiano non ha un decimo della forza emotiva di una storia interessante, raccontata bene.
Liberamente ispirato alla vicenda del californiano Larry King, "Un bacio" racconta la storia di Lorenzo, adolescente omosessuale innamorato del compagno di classe Antonio, del loro bacio e di un "atto di violenza", come recita il retro della copertina.
Il racconto si snoda attraverso tre diversi punti di vista: per primo parla il protagonista, poi Elena, insegnante di lettere, quindi Antonio.
Non c'è una vera e propria trama. Non c'è un inizio, uno svolgimento, una conclusione.
Solo due istanti, ugualmente decisivi. Due attimi da fotografare, e da rivedere fin quando restino impressi nella memoria del lettore. Due "kodak moments", direbbero gli Inglesi.
Quello del bacio, ovviamente, da cui il romanzo prende il titolo. Tre, quattro secondi di pura e infantile gioia per Lorenzo, al quale sembra di essere nato solo per vivere quella sensazione; un oscuro nulla per Antonio, troppo legato agli stupidi pregiudizi inculcatigli da una famiglia opprimente e da un gruppo di amici tanto influente quanto negativo per la sua personalità.
Due momenti, dicevo. Quello del bacio e (SPOILER!) quello della morte del protagonista.
E' proprio l'opposizione irriducibile tra amore e morte l'elemento che colpisce di più durante la lettura. Il senso di rabbia e di ingiustizia per l'assurda fine del protagonista traspare da ogni pagina. Eppure, Cotroneo non ricorre a interventi personali per far trasparire il suo punto di vista. Anzi, tende a scomparire dietro ai personaggi che crea.
Usa addirittura il vecchio trucco, che funziona sempre, di inserire errori grammaticali e sintattici che farebbero gridare allo scandalo qualche avventato purista della lingua.
Molto interessante è il modo in cui l'autore ci presenta i personaggi. Cotroneo non cade mai nell'errore di offrirci dei modelli di comportamento. Nessun carattere è totalmente positivo o totalmente negativo. Lorenzo, che finisce comunque - ovviamente - per attrarre la nostra simpatia, ha tanti lati oscuri. Elena, l'insegnante, è talmente persa nel suo sogno d'amore per l'ex allieva trasferitasi a Milano da non accorgersi del pericolo incombente. E Antonio, d'altro canto, è solo un povero ragazzo che vive in una società perversa. Una società che isola il "diverso" e tutti coloro che - in un modo o nell'altro - a quel "diverso" si trovano vicino.
E' dunque un libro che si rivolge a tutti, questo, perchè possa cambiare in meglio quella società descritta con tanto astio.
Ma è un libro che trova il suo lettore ideale nei membri di quelle due generazioni raffigurate nelle immagini di Antonio e Elena.
Il primo che, come tutti gli altri, ha sostituito i suoi sogni e la sua vita con le "frasi vecchie e consumate" dei compiti in classe. Che ha già "rinunciato alle parole". Che ha già rinunciato a tutto il resto.
La seconda, delusa dalla sciatta piattezza di un mondo di burocrati da cui non riesce a scappare.
Un libro da leggere, dunque. Nonostante qualche inevitabile clichè, nonostante la già indicata non proprio originale scelta del tema.
Da leggere, magari, con in sottofondo un bell'album degli Smiths, citati in quarta di copertina.
Perchè, come diceva Salinger, "quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira".
E a me, di chiamare Cotroneo, alla fine la voglia è venuta.