14 settembre 2010

Moving forward

Pensavi di essere cambiato, eh?
Che leggere un paio di libri in più ti potesse far sentire meglio. Che conoscere un po' di gente significhi "crescere". Che "sì, ho 17 anni ma non sono come gli altri".
Sono più maturo, io. Eccheccazzo.
Pensavi fosse finito il tempo dei puntini, e dei "sono un bastardo misantropo che non riesce a relazionarsi con il mondo senza fare casini". Pensavi che non fosse più il momento dei "non è il momento"?
Pensavi che i Pink Floyd non fossero più, per te, la bibbia del 20esimo secolo, ma solo il tuo gruppo preferito?
Pensavi che le cose che scrivi siano decentemente leggibili?
Lo pensavi, eh?

Sì. Lo pensavo.
E nonostante tutto. Nonostante oggi, e le amicizie buttate via, e le figuracce, e le delusioni di chi non vorresti deludere, e il mio tornare a mangiare da far schifo e un'asta del fantacalcio abbastanza orrenda,  lo penso ancora.

Mi sono fermato.
Mi sono girato indietro. Mi sono rivisto 13enne imbranato che non sa cosa fare.

Ma da domani si ricomincia.
Si ricomincia a cambiare.
Si ricomincia a crescere.

13 settembre 2010

Pensiero profondo dell'ultimo primo pomeriggio

A volte un "grazie mille per le belle parole" riesce davvero a contare tanto.

10 settembre 2010

Requiem per l'adolescenza ( o "De caesura capillorum" )

E alla fine arrivò il momento.

Non molto preventivato, eh.
Nemmeno una di quelle decisioni mozzafiato.

Del tipo genitori a tavola, agnello al forno, patate.
Del tipo confessione figlio gay film di Ozpetek.
Mamma, papà, fratello, cognata prossima ventura. Ho una notizia da darvi. Taglio i capelli.

No, niente del genere.
Perchè le scelte di vita sono altre.
Perchè alla fine sono piccolezze.
Perchè chi cazzo se ne frega di come uno porta i capelli.

O forse no, scherzavo.
Forse le scelte di vita sono anche queste.
E alla fine non sono piccolezze.
E io me ne frego di come porto i capelli.

Però no, niente genitori a tavola. E niente agnello al forno.

"Stamattina si va a Napoli".
"Ah, ok".
"Andiamo a prendere i libri".
"Vado anche a tagliarmi i capelli."

Così, naturale.

Naturale un corno.
Cazzo. Non avrei dovuto.

E' solo che i miei capelli lunghi li davo un po' per scontati, ormai.
Stavano diventando un'abitudine. Mi ero stancato di loro.

E delle battutine stupide degli sconosciuti, di quelle dei compagni di classe, delle velate minacceruncole di tuo padre.
Del non vedere quando ti pieghi, del solletico alle spalle.
Del poterti coprire gli occhi.
Delle gocce d'acqua che cadono sul pavimento del bagno appena finito di docciarti.
Delle foto in cui non ti riconosci, e che ti fanno anche un po' schifo.

Tutto finito, ora.

Finito come il "voglio distinguermi dagli altri". Finito come il "guarda che anch'io ho una mia cazzo di schifosa identità". Finito come le menate tardoadolescenziali da Niccolò Fabi/Sansone di turno.

E ora vi giuro su Dio che vorrei cercare di spiegare cosa abbia significato, per me, averci dato un taglio. Ma non sono affatto sicuro di riuscirci, e non voglio provarci.
Per ora voglio solo prendere atto di questa cosa.

I miei capelli. Non. Ci. Sono. Più.

E' arrivato il momento di rendersi speciali - o magari solo strani - con qualche altra cosa.
Qualche altro piccolo particolare, qualche altra insignicante dissonanza.

I miei capelli sono morti, ma la loro idea vivrà.
O almeno, stasera vorrei tanto crederlo.

8 settembre 2010

La verità, solo la verità

Ora, uno ascolta il Caccia.
Riascolta il Caccia.

Il Caccia ha sempre questa cosa, di fare programmi di nove mesi per comunicare un solo messaggio.
Riempirci 20 minuti, ogni giorno, di belle frasi e della sua fantastica voce per un unico, singolo scopo.

Amnesia? Vivete la vostra vita come se fosse sempre la prima volta di ogni cosa.
Vendotutto? Emancipate yourselves from mental slavery. Buttate via tutte le catene che vi legano alle cose. Ricominciate da capo.

C'è questo nuovo programma, che avevo consigliato un paio di giorni fa senza nemmeno averlo ascoltato.
Si chiama "Sono qui". Devo averlo già detto.

E il messaggio fondamentale è "dite la verità". Alla vostra famiglia. Ai vostri amici. Al/alla vostro/a ragazzo/a. Al vostro professore.
Ma soprattutto a voi stessi.

E allora io lo faccio. Per una volta. Dico la verità a me stesso.
Confesso parte di ciò che non va, riservandomi di aggiornare il post ogni volta che posso.

- Sono troppo riflessivo.
- Passo troppo tempo davanti al PC.
- Ho sprecato 16 anni della mia vita a rincorrere il nulla.
- Faccio il 2% delle cose che decido di fare.
- Un altro paio di scarpe da ginnastica potrei anche comprarle.
- Ho paura degli altri.
- Sono troppo selettivo.
- Sbaglio gli accenti.
- A volte credo di avere l'unica verità.
- Cerco di ostentare le mie poche conoscenze.
- I miei capelli, molto spesso, sono ridicoli.
- Ho dei denti orrendi.
- Non rendo i miei giorni uno diverso dall'altro.
- Mi ammalo troppo spesso.
- Sono pigro.
- Sono superficiale.

E soprattutto

- Faccio poco per migliorare.

7 settembre 2010

Pensiero profondo della mattina

Tutte le stronzate tipo "è per il tuo bene", "se lo fai, lo fai per te stesso", "mica ti devi sentire in obbligo" sono stronzate.
Stronzate.

6 settembre 2010

Citazioni incolte

Lei è così pazzamente innamorata di me che non capisce più niente. E' per questo che è innamorata di me.

He's back

Quando torna il Caccia, io non posso esimermi dal segnalarlo.
Ogni giorno. Ore 16.00. Radio 24.
Sono qui.

A me la sigla non piace, ma da queste parti lo si ascolta comunque.
Sempre.

5 settembre 2010

Inutilmente autoreferenziale

Perchè scriviamo?
Domanda stupida, lo so. Domanda che già in milioni si sono posti prima di me. Domanda a cui migliaia hanno risposto. E con risultati sicuramente migliori di questo post.
Perchè tracciamo dei segni, convenzionalmente tramutabili in parole, su un foglio di carta?
Per rendere indimenticabile un momento. Perchè diventi immortale. Per lasciare qualcosa che resta, avrebbe risposto il pluricitato mio professore di latino, che peraltro - a quanto sembra - a breve non sarà più tale.
Concentrare un attimo in una pagina di soggetti, predicati e complementi. Affinchè possa essere ricordato, affinchè tutti coloro che si troveranno a leggere possano bearsene.

Sì, ok. E' così, non lo metto in dubbio.
Tutto sommato è per questo che scriviamo diari. Di scuola, di bordo, personali. E' per questo che apriamo milioni, miliardi di minuscoli bloggetti. Nella speranza che qualcuno prima o poi ci noti e ci trasformi nei più grandi degli scrittori.

Ma non è l'unica risposta.

Alcuni scrivono per sentirsi utili. Riportare notizie, aggiungere punti di vista, fare dibattito. Rendere un servizio alla comunità. Scrittori altruisti, nati per rendere migliori gli altri nel breve periodo. E se non migliori, più ricchi. Giornalisti, opinionisti, editorialisti. Conosciuti, ma presto dimenticati.
Che si rivolgono a tutti, che vogliono che la loro parola sia nota a tutti, dall'ultimo lattaio al primo ministro.

Altri lo fanno per sfogarsi. Scaricare sulla carta i propri pensieri, le proprie sensazioni, la propria frustrazione. Non hanno bisogno che qualcuno li legga. Scrivono per scrivere. Scrivono per pensare. Scrivono per smetterla di vivere. Almeno per qualche minuto. Almeno fino a quando la pagina non sarà finalmente riempita.

Poi ci sono loro. Quelli che scrivono per essere capiti. Che riempiono il foglio di parole incomprensibili con il solo scopo di far impazzire il lettore. Sperando che - prima o poi - arrivi qualcuno a dire "Sì, ok. Ho capito. E, cazzo, hai ragione tu."
Parlano per metafore, loro. Sono gli inventori delle frasi criptiche. Sperano che quel verbo possa risvegliare quella sensazione. Che quell'aggettivo possa far ricordare la scena del film che credono di stare vivendo.
Si augurano che quel post del 18 ottobre venga ricollegato a quello del 27 agosto dell'anno prima, da cui trae origine.
Si rivolgono ad un lettore ideale. Che non conoscono. Che non esiste, molto probabilmente.

Io non so dove collocarmi.
Per certi versi, fino ad ora questo blog è stato abbastanza eterogeneo.
Ho riportato notizie che mi facevano alzare sulla sedia. Ho cercato - quando possibile - di esprimere delle idee. Mi sono sfogato, con la consapevolezza che nessuno avrebbe capito. E senza alcuna voglia di essere effettivamente capito.

Ma credo che, tutto sommato, io possa rientrare nell'ultimo gruppo.
Ho sempre parlato ad un mio lettore ideale.
All'inizio era una persona conosciuta, l'unico che mi leggesse davvero. Poi un ragazzo che abita ad Amsterdam, che visitava ogni giorno il mio blog.
(Grazie, google analytics.)
E, dopo ancora, te. Te. Te. Te. Soprattutto, te.

Ho aperto i commenti, sperando che il lettore ideale si materializzasse davvero. Sperando di essere capito. Sperando di sentirmi meglio.

Poi è successa una cosa.
E' successo che il lettore ideale sia davvero comparso.
E che io ora sappia perfettamente a chi rivolgermi, quando scrivo queste parole. Che non mi interessa cosa gli altri pensino, di me. Dei miei post su Bersani, delle mie elucubrazioni mentali.
So che ci sei tu, ora. E davvero non me ne frega più niente.

Continuerò a scrivere. Per te.

2 settembre 2010

Nudisti - puntata 5 - Determinismo

Chè la filosofia, purtroppo, non è la mia materia preferita.
Non so se per colpa della mia professoressa, del mio libro, degli autori che ho studiato, della struttura del mio diavolo di cervello.
Non lo so. E’ che proprio non riesco ad appassionarmi al pensiero politico di Platone, alla teoria delle monadi, alla scommessa pascaliana.
Ehi, intendiamoci. Non è che non le studi, non è che non mi piacciano. E’ solo che non riesco ad appassionarmi.

E’ molto, molto più facile essere attratti dalla storia, ad esempio. Perché la storia, tutto sommato, è una grande favoletta. Dicono che la storia sia maestra di vita, dicono che serva a comprendere gli errori del passato per non sbagliare più nel futuro.
Stronzate. La storia è bella perché ci fa tifare. Per una parte o per l’altra.
Perché nella guerra 15-18 teniamo Italia e la vediamo vincere alla fine del paragrafo. Perché i rivoluzionari francesi l’hanno data su a quello stronzo di Luigi XVI, perché proviamo tanta compassione per i poveri operai inglesi del 1839.
Ma va beh, come al solito l’ho presa lunga.

La filosofia, dicevo, non è la mia materia preferita. Ma se affrontata in un certo modo, mi piace. Perché, a volte, anche la filosofia diventa favoletta. Perché, a volte, anche nella filosofia bisogna prendere posizione.
Credente o ateo? Pragmatista o idealista? Marxista o liberale? Relativismo o verità assoluta?
Prendiamo posizione, e cerchiamo di trovare nell’avversario il suo punto debole.
Tipo quella volta che cominciai a odiare profondamente Parmenide, trovando falle in ogni singola parola generata dal suo perverso pensiero. Contestando il fatto che un tizio che afferma di non dover seguire la strada della negazione definisca il suo stramaledettissimo “essere” solo per mezzo di litoti.
L’essere non è possibile che non sia. Non è mobile. Non è “due”. Non è mortale.
Mi sta sulle palle, Parmenide. Non ci posso far niente.
Comunque.

Il grande conflitto filosofico che da sempre mi appassiona un po’ di più è quello tra deterministi e fautori del libero arbitrio.
Ok, forse mi tocca dire cosa diavolo significhi “determinismo”. E Wikipedia docet abbastanza bene, in questo caso.
Il determinismo è l'idea che tutte le cose che accadono nel presente e nel futuro sono una conseguenza necessaria dagli eventi precedenti.
 
Io da piccolo ero determinista. Ancora non sapevo chi diavolo fossero Democrito, Lucrezio, Epicuro o Spinoza, ma condividevo perfettamente il loro pensiero.
Ero convinto che esistesse un universo per ogni singolo istante della nostra vita. Che esistessero milioni, miliardi di universi in cui vivere hinc et nunc. E che il tempo fosse solo il passaggio di una persona da un universo all’altro.
Con gli altri universi già scritti, ovviamente.

Pensavo che non importasse quale decisione si prendesse. Pensavo che – no – mettere i calzini di un colore piuttosto che di un altro non portasse a nessuna conseguenza vitale sugli altri.
E’ tutto già scritto. Punto.
Chè voi starete pensando: chissà che diavolo di tipo deve essere ‘sto cater3, se già a 10 anni si faceva ‘ste gran pippe mentali?
Avete ragione voi, ma dovete sopportarmi.

Comunque, poi ho cambiato idea.
Un po’ perché pensare che le cose succedono perché devono succedere e basta non è determinismo. E’ fatalismo. Un po’ perché vivere una vita pensando che non contino nulla le tue scelte non è facile. Soprattutto a 15 anni.

Però a me l’idea degli universi “hic et nunc” continua ad affascinarmi.
Perché, sì, ok.
Significa annullare il potere delle scelte, e eliminare in un secondo tutti gli stupidi preconcetti dell’homo faber fortunae suae.

Ma significa anche che tutti i momenti della nostra vita sono stati progettati per portare a qualcosa. Per portare a un singolo momento. Significa che tutti i tuoi 45 anni sono stati spesi per arrivare a quell’aumento di stipendio che sognavi da 25. Che tutti i tuoi 87 anni sono stati impiegati per arrivare a quel sorriso della tua nipotina. Che ogni singolo, lurido, istante della tua infelicità ti ha condotto a questo momento di massima gioia.

Che ogni film che hai visto, ogni libro che hai letto, ogni pagina che hai studiato.
Ogni festa in famiglia, ogni stupida canzonetta sentita, ogni chicco d’uva mangiato.
Ogni conversazione con sconosciuti su facebook, ogni trasmissione ascoltata, ogni pezzo da sei minuti scritto.

Ogni singolo momento della tua vita è servito a quelle due ore.
A quelle due ore di pura, infantile gioia.

Chè non esiste un termine migliore per definire questa sensazione.
Perché qualcuno potrebbe dire che è amore, ma non è la stessa cosa.

Due ore di assoluta perfezione. E tutta la vita per arrivarci.

1 settembre 2010

This post is about you

E poi mi trovo a leggere delle righe.
Che sembrano d'addio. Che forse sono d'addio.
You're so vain you probably think this post is about you, avrebbero potuto concludersi quelle righe. Con una citazione un po' inflazionata, ma che ci sta sempre bene. Forse.
Forse.
Sì, sono così inutile da pensare che probabilmente quelle righe si riferiscano a me.
Perchè prima o poi le strade si dividono. Perchè gli amici non sono fratelli. Perchè, sì, forse è arrivato il momento di cambiare raccordo.
Forse era già arrivato tempo fa.
Credo che la nostra amicizia si trascinasse, stanca e appesantita, già da un po'. Già da tanto.
Forse.
Siamo andati avanti molto tempo per inerzia, per abitudine, per fare qualcosa. Anche quando il senso si era ormai perso.
Continueremo ad andare avanti, probabilmente.
Passerà la tua amarezza, passerà il mio rancore per la tua amarezza.
Forse.
O forse no.
Troppo tempo è passato dalla prima volta che ci siamo conosciuti. Una prima volta che nemmeno ricordo. Sono cambiate tante cose. Forse troppe cose.
Forse.
E' sempre stato un rapporto del "forse", il nostro.
Almeno per me.
"Forse questo non dovrei dirlo, se la voglio contenta. Forse questa canzone potrebbe piacerle. Forse è inutile proporle quel film."
"Forse dovrei dirle tutto ciò che sento".
Forse no.
Ho finito per decidere per il "forse no".
E non far finta che non sia così, anche tu hai finito per decidere la stessa cosa.
Ridere alle battutine su di noi, invece di ricambiare il mio sguardo da cane bastonato.
Non fare mai un passo avanti.
Adesso, amice, non possiamo andarcene via sbattendo la porta.
Come se ci sentissimo delusi.
Come se quella stupida, stupidissima notizia fosse caduta dal cielo, inaspettata.
Amice.
Forse non arriverai nemmeno a vederle, queste parole.

Stamperò il tuo post che credo parli di me. Lo metterò vicino a tutti i bigliettini di auguri, vicino ai biglietti del cinema.
Li leggerò quando avrò voglia di far finta di avere dei bei ricordi.
E mi mancherai.