13 marzo 2013

Reprimenda


Esistono fondamentalmente due modi per rapportarsi a un prodotto culturale in senso lato, che sia una tragedia greca, un dipinto o uno spot del pennello Cinghiale degli anni '80.

Due modi, due prospettive.

La prima è una prospettiva “attualizzante”. Ad esempio, posso leggere Sofocle lasciandomi prendere dalla forza d'animo di Antigone, eroina sola contro un mondo che non condivide i suoi valori e contro il quale combatte con discreti risultati. Oppure posso ammirare Guernica di Picasso per il suo profondo messaggio pacifista. O ancora riguardare Giochi senza Frontiere rimpiangendo gli anni '90 e pensando a quanto si stesse bene allora, quando i boschi erano grandi, la campagna verde, si giocava con il supersantos e non c'era carne di cavallo nei tortellini.
Si può fare, ed è lecito, e merita tutto il mio rispetto.
E spesso è così che nascono i prodotti culturali della contemporaneità. E' così che è nata l'Antigone di Brecht, due millenni e mezzo dopo quella di Sofocle, ambientata nella Germania nazista degli anni '30. E' così che è nata la rivisitazione di Guernica a opera di Ron English, ora in mostra al Mattatoio del Testaccio, è così che questa trasmissione si era arricchita nella prima edizione – breve notazione filologico-autoreferenziale – di uno spazio “Aridatece Giochi senza frontiere”.
Si può fare, è lecito. Merita tutto il mio rispetto.

Poi c'è un'altra prospettiva, quella – per così dire – storica. Ad esempio, leggerò l'Antigone – naturalmente in greco – e cercherò di valutarla sulla base delle caratteristiche strutturali del teatro sofocleo. Oppure guarderò Guernica e ne analizzerò gli influssi delle maschere rituali dell'Africa nera. O ancora ripercorrerò la storia di Giochi senza Frontiere e cercherò di indagare i motivi economici alla base della sua chiusura o la sporgenza degli incisivi di Maria Teresa Ruta.
Si può fare, ci sono schiere di accademici che ci si divertono un mondo, e genera una quantità spropositata di letteratura critica, spesso base per chi voglia poi attualizzare. Merita tutto il mio rispetto.

E poi ci sei tu, che sei entrata nella mia vita giovedì scorso e rimarrai simbolo di un po' di cose. Tu e quelli come te, perchè ce n'è un sacco, di tipi come te, lì fuori. C'è il “tuo” modo.
Ti chiami Caterina Napoleone, sei la curatrice a Pisa di una mostra – peraltro carina, che consiglio – su Bruno Caruso, e non sai quanto spero che tu, per qualche casuale ragione, mi stia ascoltando.
Tu, che “ogni linea è un capolavoro ineguagliabile”. Tu, che ogni idea “è una grande prova di coraggio”. Tu, che ogni opera è “simbolo del percorso intellettuale di un'intera generazione.” Tu, “che ogni adolescente nei primi anni '60 aveva in camera un poster dei Beatles, uno dei Pink Floyd e uno di un quadro di Caruso.” Nei primi anni '60. I Pink Floyd.
Tu, Caterina Napoleone, colonnista anticonformista de “Il Giornale”, fatina della parlantina fluente, puttana del sorriso allusivo. Il tuo modo di approcciarti a un prodotto culturale non è né storico, né attualizzante. E' semplicemente idiota.
E' semplicemente idiota. E ti do una notizia: non si può fare, non è divertente, non ha il rispetto di nessuno, non produce un cazzo e si merita solo dei grandi, unici, irripetibili, appassionanti e coinvolgenti calci nel culo.