8 febbraio 2011

Illumina

La riconobbe, nell'immensità dell'azzurro.
Quel maglioncino verde. Quello di un tempo. Quello orrendo, che non sopportava, e che pure amava alla follia.
Riconobbe il suo viso. I suoi occhi, più azzurri dell'azzurro che li circondava.
Era cambiata.
Dicevano che, in quello stato, tutto sembrava più pieno. Più colorato. Più vivo. E avevano ragione.

Era già diversa, ora.
Gonna da gitana. Capelli rossi, come non li aveva mai avuti.
Sembrava aspettasse.

Niente, in quel luogo, aveva un nome. Niente poteva essere descritto.
Niente era vero.
Anelli di concetti e azioni in un'interminabile catena.
Senza volontà. Senza scrupoli. Senza leggi.

Ormai la fissava da minuti. Vedeva in lei la propulsione. L'alfa, da cui tutto era partito, e da cui tutto avrebbe avuto un nuovo, meraviglioso inizio.
Forza genitrice, foga universale.

"Bisogna necessariamente perdersi, per ritrovarsi?"
"Evidentemente."

Aveva la bellezza dell'ossimoro. Quella che non aveva più intravisto, dopo quel giorno. Quella che gli mancava tanto.

Allora ne elencò quanti più era in grado di ricordarne.
Dolcissimo baratro. Inebriante imperfezione. Rosso spento.
Viva morte.

Lei sorrise. Prese una sigaretta, ne offrì una. E fumarono insieme, in silenzio.
L'immaterialità di quel fumo diede un metro di paragone al loro stato. Li definì. E li vinse.
Risero della loro passata imperfezione. Risero del loro sentirsi, ancora una volta, imperfetti.

Fluttuavano, e sentivano ancora il peso dei loro corpi.
A braccia aperte sull'infinito, videro la metafora della loro esistenza dissolversi nello splendente etere della nuova realtà.
Dell'eternità.

E risero ancora. Della loro miseria.