16 novembre 2010

Message in a bottle

Perchè voi ragazzi non avete materialmente il tempo di pensare.

Vi alzate, fate la doccia, venite a scuola.
Tornate a casa, studiate.
Al massimo fingete di divertirvi con il solito gruppo di amici.
Tornate a casa, fate la doccia, mangiate, andate a letto.

E nessun momento per voi stessi. Nessun momento per lasciarvi andare.

Voi ragazzi siete talmente occupati che, se mai vi capitasse di avere un giorno libero, cerchereste di occuparlo in ogni modo.

Siete lì, a darvi delle scadenze. Ad investire su voi stessi.
A pensare al futuro, che non è pensare.
A pensare al presente, che non è pensare.

No, ragazzi. Lo so che state scuotendo la testa. Non è che vi manca il tempo.
Vi manca proprio l'attitudine.

Io non voglio fare quello che implora il ritorno dei bei tempi andati, ma a me sembra che voi non abbiate il coraggio, nè la voglia o la capacità di fermarvi.
Di prendere una sedia e sedervi a un tavolino, buttando giù due righe su di voi con una penna stilo in mano.
Due righe su cosa VOI vorreste dalla vostra vita. Su quale piega farle prendere.
O su cosa, banalmente, vorreste mangiare domani.

Perchè voi ragazzi dovete studiare. Dovete avere una vita sociale decente. Dovete accontentare i vostri genitori.
Dovete passare del tempo a casa, chè se no pare brutto.

Dovete, dovete, dovete.
Scuola, famiglia, amici.
Dovete.

Ma ragazzi, per favore. Ora basta.

Guardatevi intorno.
Fermatevi.
Ora.

Dovete farlo, ragazzi.

15 novembre 2010

The only things left

I libri non letti.
I pranzi mai mangiati.
I film non visti.
I progetti andati a male.
Le elezioni perse.
I consigli non seguiti.
I governi caduti.
Le opinioni cambiate.
Le accuse dissolte.
Gli esami non superati.
Le abitudini abbandonate.

Perchè, alla fine della fiera, le uniche cose che ci rimangono sono quelle che non ci sono più.

(E, soprattutto, perchè mi andava di fare una lista.)

8 novembre 2010

Ma proprio sfogo senza senso

Ecco, voi che "ma perchè stai così?".
Voi che prendete in giro quando non è il momento.
Voi che "fammi un sorriso, per favore".
Voi che "ehi, quello sono io".
Voi che non ci siete se ne ho bisogno.
Voi che "ma non riesci proprio a venire?"

Ma soprattutto voi.

Voi che "ma guarda me, dai".
Voi che "eddai, ma ci sono ben altri problemi".

Cazzi vostri mai, eh?

4 novembre 2010

Sogno ricorrente

Sono lì.
Cioè, non lì.
Qui.
Sì, forse sarebbe meglio dire "qui".
Qui a casa, intendo.

No, chè poi in realtà non sono proprio a casa.
Sono fuori.
Cortile. Giardino. Orto. Mai capito come lo si debba chiamare, 'sto spazio appena fuori dalla porta.
Però va beh. Il punto è che sono qui.

Sto giocando.
Ho 10 anni e gioco. Normale, no?
Con un paio di compagni di classe, l'amico di Roma che viene d'estate e tre o quattro bambini che non conosco, ma che mi stanno simpatici.
E non lo so, perchè mi stanno simpatici.
Forse perchè quella clavicola sporgente non può far altro che simpatia. Forse perchè hanno la maglia del Napoli.
Chè poi ora sto cercando di razionalizzare, ma la verità è che mi stanno simpatici e punto.

Stiamo giocando.
A pallone. Calci di punizione, per essere precisi.
Tre sedie come barriera, il muro del locale-caldaia come porta.
Non so chi stia vincendo. In realtà nemmeno me ne frega.
So solo che sono qui, con alcune persone con cui mi trovo bene. Che stiamo giocando al mio gioco preferito. Che tra un po' uscirà dalla porta mia madre con il succo di frutta ACE e i biscotti alla nutella.

Deve essere estate, chè non sento il patema dei compiti.
O magari, chissà, è sabato pomeriggio di qualche stupida giornata tardoprimaverile.
Perchè, cazzo, alle elementari non ci si anticipa i compiti.

Poi, sento qualcosa. Qualcosa che non sia il rumore del supersantos sul garage, intendo.
Chiudo gli occhi per ascoltare meglio.

E'... E' un rumore costante.
No, non è costante.
E' qualcosa che si sta avvicinando verso di noi.
Verso la nostra innocenza, verso la nostra fanciullezza. Verso i nostri tiri a giro da novelli Mihailovic, chè quando avremo 22 anni saremo tutti calciatori di serie A, e segneremo direttamente da punizia e ci ricorderemo di quelle volte che giocavamo davanti casa e lo diremo ai giornalisti e ai tifosi che impazziranno per noi.

Li riapro.

Passa solo un attimo prima che riesca a vederlo.
Un camion.
Un camion guidato da un omone grasso, alto e pelato.
Che ride, oltretutto.
Nemmeno tanto vecchio, ma brutto come la vecchiaia. Più della vecchiaia. Con quei denti gialli che non so come riesco a vedere.

Un camion che non so come diavolo stia arrivando qui.
Che non so da dove sia entrato nell'orto-giardino-cortile o chissàccosaperlui.
Un camion il cui clacson, suonato da quello stronzo che ride, non la smette di suonare.

E più il camion si avvicina, più il clacson suona.
Più il clacson suona, più non mi muovo.

Più il camion si avvicina, più non mi muovo.