Di mio nonno, purtroppo, non ricordo molto.
Ricordo la sua disponibilità, i suoi occhi attenti e vivaci, la sua ispida barba di due giorni. Ricordo le litigate con il bisnonno per qualunque cosa, e il fatto che non parlava molto.
Mio nonno era un tipo strano, per i suoi tempi.
Fece studiare suo figlio, lo mandò all'università, comprò - in società - il primo trattore del suo paese, fu il primo a chiedere la consulenza di un agronomo.
Ricordo il suo dispiacere nel vedersi costretto ad un letto e le parole dette a bassa voce in quel maledetto Natale, mentre io - nell'immaturità dei miei 11 anni - leggevo Dickens.
Ma non è di questo che volevo scrivere.
Mio nonno non parlava molto, devo averlo già detto. E quel suo atteggiamento, soprattutto confrontato con l'espansiva loquacità di mia nonna, mi incuriosiva.
Perciò ogni tanto gli chiedevo qualcosa.
In uno di quei colloquii, riuscii a chiedergli se ricordasse i due mondiali di calcio, vinti da Pozzo e soci nel '34 e nel '38.
Lui rispose, in tono malinconino, che i mondiali non li ricordava. Ma la guerra sì. Quella, la ricordava benissimo.
Avevo 7 o 8 anni, allora, e non ci badai molto.
Poi passò un po' di tempo, studiai - credo alle elementari - la seconda guerra mondiale e gli chiesi di raccontarmela, dal suo punto di vista, come fosse una favola.
Mio nonno, che non parlava molto, prese una sedia e si sedette. Ne presi una anch'io e - mentre lui tagliava del pane e della salsiccia, cominciai ad ascoltarlo.
Raccontò che la casa in cui si trovavano era diventata un rifugio prima per alcuni soldati tedeschi e poi per degli inglesi, che gli inglesi erano ancora più bastardi dei tedeschi, che lui non aveva visto molte bombe ma facevano - me lo assicurava - tanta paura.
Raccontò che l'unico cibo disponibile era la pizza di granoturco e che aveva giurato di non mangiarne più fino alla fine della sua vita, se fosse sopravvissuto alla guerra.
Mio nonno, che non parlava molto, chiuse la sua narrazione con una storiella che probabilmente ricorderò per sempre.
Nell'aprile del '44, i soldati tedeschi che avevano occupato la nostra casa furono costretti ad andarsene, per ovvie ragioni.
Ce n'era uno, mi pare si chiamasse Karl o qualcosa del genere, con cui mio nonno era riuscito in un certo modo a stringere una sorta di amicizia.
Quel soldato, salutandolo, gli disse:
"Italia libera americana, Mussolini kaput, Hitler tra poco Kaput e andiamo tutti a casa."
Oggi è 25 aprile.
E se per me fino a 3 o 4 anni fa il 25 aprile era stato solo un giorno di vacanza coincidente con il mio onomastico, adesso capisco quanto sia importante.
Quanto sia importante ricordare quelle meravigliose persone che hanno permesso che l'Italia fosse " libera americana", che Mussolini fosse "kaput", che diedero un aiuto importante affinchè Hitler fosse "tra poco kaput" e che - soprattutto - hanno fatto andare via quel soldato tedesco e hanno liberato la nostra casa.
Dove per nostra casa - una volta tanto - intendo l'Italia.
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