30 luglio 2010

NuDISti - Puntata 2 - Cose inutili


Chi mi conosce un po’ sa che ogni discorso più o meno serio che faccio prima o poi va a parare sulla mia formazione pseudo-cattolica.
Del resto, cerco di regolare ogni mia singola azione sull’avversione per tutto ciò che mi ricordi anche vagamente quel mondo lì.
Cos’è che Don Rocco non farebbe?
C’è stata una cosa, una cosa piccola – tutto sommato -, che prima di ogni dubbio filosofico o fastidio per le convenzioni mi ha spinto fuori da quel mondo.
Io andavo a messa con mia madre. Ero piccolo, avevo 7 anni, non andavo in giro da solo. E’ normale, no? Andavo a messa con lei e dovevo sorbirmi un’ora e mezo di parole che per me erano fondamentalmente senza senso, e azioni che mi erano vietate. Tipo mangiare quello strano foglio di pane. “Sì chiama ostia, Marco, ed è il corpo di Dio”. “Ok, mamma. E’ comunque un foglio di pane”.
Quell’ora e mezza, in ogni caso, per me non era così insopportabile. Un po’ perché c’era un buon odore di incenso – e all’epoca non ne ero ancora allergico – , un po’ perché avvertivo nell’aria un’atmosfera rilassata e tranquilla che mi dava sicurezza, un po’ – soprattutto – perché c’era una bambina più grande di me di un anno, con cui facevo catechismo insieme e che mi pare si chiamasse Noemi, che mi piaceva da morire.
Ma non è di questo che volevo parlare.
E’ che la parte finale della messa è progettata appositamente per farti desiderare di andar via il prima possibile.
Si comincia con il gesto di pace, e con l’agnello di Dio che togli i peccati del mondo.
Che poi bisognerebbe farci un discorsetto su quel “togli i peccati del mondo”, perché in latino “tollo” vuol dire “prendo su di me” e non “tolgo”.
Ma non volevo parlare nemmeno di questo, ovviamente.
Agnello di Dio, dicevo. Poi quella preghiera sulla mensa che ci basta solo una parola e io sarò salvato.
E la comunione.
Quella fila interminabile di vecchi, anziane signore, ragazze e uomini di mezz’età, con in sottofondo qualche orrendo brano cantato chitarra-voce da un chierichetto un po’ più sveglio degli altri, che si credeva Bob Dylan. Anche se io, allora, ovviamente non avevo idea di chi fosse, Bob Dylan.
La comunione. Finiva la fila e avevi l’impressione che fosse finito tutto.
E invece no. Perché Mancava la benedizione. O meglio, prima mezz’ora di annunci tipo “martedì sera alle 18.00 riunione in sagrestia con i cresimandi” e poi la benedizione.
Segno della croce. La messa è finita, andate in pace. Ite, missa est. Che poi significa “andate, il corpo di Cristo è stato mandato”, ma anche questo è un altro discorso.
 Insomma, arrivo al punto. Mia madre non andava mai via a quell’annuncio. Mai. Doveva aspettare che Bob Dylan finisse il suo “accompagnaci, o signore, sulle vie della speranza”, e dopo – solo dopo quei 3 minuti – con tutti che uscivano passandoci davanti, con Noemi che usciva passandomi davanti, accompagnata da quello stronzo che proprio non riuscivo a sopportare. E poi si poteva andare via.
Ecco. Io ho sempre detestato mia madre per quei tre minuti. E pregavo ogni volta il buon Dio affinchè Bob facesse solo un minuto e mezzo, prossima volta.
Poi, pian piano, crebbi.
Cominciarono i dubbi filosofici e i fastidi per le convenzioni e smisi di andare a messa.
E ora che sono passati 10 anni, e gioco a carte, e bevo vino, ripenso a quelle domeniche mattine.
Ripenso a Bob Dylan, a mia madre, allo stronzo. Ripenso a Noemi. Ripenso a quei tre minuti di odio profondo. E capisco quanto allora non capissi nulla.
Perché mia madre aveva ragione.
Perché l’obiettivo di una vita non è fare cose utili, ma essere felici.
E se qualcosa ti rende felice, ti fa stare bene ( perché è un’abitudine, perché ti ricorda qualcuno che hai perso, o – ancor di più – anche se non c’è un motivo vero, solo perché ti sembra giusto così ). Se qualcosa ti fa stare bene, non importa che abbia senso o meno. Va fatto.
E’ come guardare i titoli di coda di un film fino alla fine, è come leggere le postfazioni. E’ come aspettare il fischio alla fine di Sgt Pepper’s Lonely Hearts club band e quella voce che sembra dire “There never could be any other one”, oppure, al contrario, I fucked Superman”, secondo qualche assatanato convinto che i Beatles non fossero altro che bestie di Satana e che Paul ovviamente fosse morto nel ’66 in un incidente stradale, e sostituito da un poliziotto dell’Ontario, Canada, di nome Billy Shears.
Non c’è motivo, non aggiunge nulla, ma io lo faccio. Perché mi fa stare bene.
Scriveva Murakami, uno che mi farebbe riflettere ed emozionare anche con una lista della spesa, nel “La ragazza dello Sputnik”:
“Se mi è concessa un’osservazione banale, in questa vita imperfetta abbiamo bisogno anche di una certa quantità di cose inutili. Se tutte le cose inutili sparissero, sarebbe la fine anche di questa nostra imperfetta esistenza.”
Ha ragione lui. Aveva ragione mia madre.

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