26 luglio 2010

Di sogni e sensazioni orrende

Stanotte ho fatto un sogno.
Qualcuno potrebbe dire "che novità". Un altro potrebbe pensare che descrivere i sogni è probabilmente l'attività letteraria più difficile del mondo e "non c'è riuscito bene Scorsese in Shutter Island e ci vuoi provare proprio tu, ragazzino?".
Sì, avete ragione.
Ma io credo che - tutto sommato - siamo nella dimensione del sonno - e del sogno - per circa metà della nostra vita. E credo anche che quella metà della nostra vita abbia un'importanza pari, se non maggiore, rispetto all'altra. Quella tanto osannata, quella per cui ci preoccupiamo tanto.
Il sogno è democratico.
Il sogno è il riscatto dei deboli.
Durante il sogno, tutti siamo uguali. Dal più povero dei clochard de L'Avana al più celebre degli industriali italiani.
Allora credo che un minimo di riflessione su stanotte non possa farmi tanto male.

Sono a Napoli. Non è la Napoli che conosco. Mi ricorda un po' Milano e un po' Londra, ma è Napoli. Lo dice mio padre, che è Napoli.
Non ho idea di dove dobbiamo andare. So che siamo in macchina, e ne seguiamo un'altra. Forse quella di mio fratello, ma non ne sono sicuro.
Sembro felice. Parliamo tanto, del più e del meno. Di Napoli, che tutto sommato è una gran bella città anche se nessuno di noi due vorrebbe passarci più di qualche giorno.
Scendiamo dalla macchina. O meglio, ci troviamo fuori dalla macchina. Andiamo in una galleria. Devo esserci già stato, non so se nella vita o in qualche altro sogno. Non mi importa più di tanto, in fin dei conti.
Usciamo dalla galleria, ci sediamo su una panchina. Accanto a noi ci sono tre extracomunitari. Io ho paura, non so perchè. Deve essere che siamo Napoli, deve essere che non c'è nessun altro intorno a noi. Io, mio padrei tre extracomunitari e la mia paura.
Mi avvicino istintivamente a mio padre, e loro si allontanano un po'. Si siedono su un'altra panchina, visibilmente dispiaciuti. Cominciano a canticchiare "Smisurata Preghiera" di De Andrè, e piuttosto bene, peraltro.
Mio padre dice che non mi faranno niente, che lì c'è lui. Io capisco di essere un idiota.
Vado via.
Dobbiamo prendere l'autobus. Ci servono i biglietti.
Entriamo in un tabacchino. Chiediamo due biglietti. Lui esita un po'. Poi ce li dà. Aspetto lo scontrino. Lui batte qualcosa sul registratore di cassa.
Mi consegna lo scontrino. C'è scritto 20 centesimi, invece di 2 euro.
"Va bene, vero?"
"Ehm... Sì, va bene..."

No, non va bene per nulla. Forse dovrei girarmi. Mi giro. Lo guardo negli occhi, lui mi guarda negli occhi.
Me ne vado.

Mi sveglio.

Ecco.
A volte mi sembra che sia tutto inutile.
Cosa ci faccio qui a scrivere ogni tanto di razzismo e legalità quando poi, nella sfera dove compare il mio vero "io", divento il primo xenofobo, complice silenzioso di un evasore?
Cosa ci faccio qui a scrivere?
E perchè credo nei sogni?
Perchè credo nei sogni quando anche lì finisco per avere i miei stessi orrendi difetti?

Non lo so.
A volte mi sembra che siano davvero riusciti a cambiarci.
Ci hanno cambiato, lo sai.

1 commento:

  1. quello che forse era con la macchina davanti!!!26 luglio 2010 alle ore 13:02

    Tranquillo è fisiologico.....a Napoli ognuno da il peggio di se!!!!!! La prossima volta sogna Campobasso!!!!!!!!

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