11 dicembre 2011

Le cose che avrei voluto dire da parecchio, più o meno nel modo in cui avrei voluto dirle da parecchio

Dopo aver militato per un anno e mezzo - con impegno e partecipazione minori di quanto sarebbe stato necessario - qui a Campobasso, è da qualche mese che mi trovo in una realtà con ogni probabilità oggettivamente migliore di quella in cui ho vissuto nella mia adolescenza e che voi con il vostro impegno vorreste cercate di migliorare, ma sicuramente non esente da problemi.
Pisa è diversa da Campobasso, come diverso è l'ambiente universitario da quello liceale, forse più chiuso ma – anche per questo – più raccolto e familiare.
E' interessante (e in una certa misura persino confortante) vedere che le rivendicazioni siano qui e lì – in buona parte – le stesse. Le proteste per i disservizi, l'indignazione per la mancanza di quei provvedimenti che persino il vecchio, caro, borghese buon senso raccomanderebbe (penso alla situazione dell'edilizia qui in Molise o ai disastrosi orari e calendari accademici pisani), la volontà di rendere più simile a noi il clima culturale che si respira, la ribellione contro un sistema che hanno fatto di tutto per rendere quanto più possibile avulso e ostile a noi, una generazione per cui non esiste nemmeno più una consonante.
E' contro questo sistema che vedo muovere la rabbia di tutti noi, di certo ben motivata ma spesso – purtroppo dobbiamo riconoscerlo - non altrettanto ben veicolata. Anche le campagne nazionali contro la crisi, a cui va sicuramente il merito di aver aiutato molti di noi a dare una forma attiva alle proprie richieste, hanno nello stesso tempo appiattito i nostri pensieri su posizioni che spesso non possiamo far altro che appoggiare fideisticamente, non essendo tutti nella possibilità di acquisire i mezzi e le conoscenze necessari per comprendere l'immensità dei fenomeni che stanno accadendo intorno a noi.
Sono certo – tuttavia – che, anche se le cause del disastro in cui viviamo sono per lo più ignote a molti di noi, è sicuramente chiaro a tutti uno dei suoi risultati: la diminuzione del peso dei movimenti, delle associazioni e persino di realtà più organizzate (i sindacati e – da qualche settimana - persino i partiti) all'interno di questa società. L'impossibilità di ottenere risultati concreti e la frustrazione che ne deriva sono oggi più che mai all'ordine del giorno per chiunque cerchi di impegnarsi per quelli che sente siano gli interessi della collettività.
Eppure, qui e ora, voi state ponendo le basi di un cambiamento. Proprio perchè gli spazi di manovra sulla realtà sono minori, la presenza di persone provenienti da realtà diverse e riunite qui a dire la propria è il primo passo necessario per una diversificazione delle istanze che è non solo auspicabile, ma imprescindibile e necessaria.
Pur nell'unità di intenti che deve contraddistinguere un'associazione, andare a stanare una per una le situazioni risolvibili per incidere nettamente sulla quotidianità è l'obiettivo che dobbiamo perseguire. E per farlo, è necessaria una presenza qualitativamente e quantitativamente più ampia rispetto a quella che abbiamo avuto finora, più attiva sul territorio, senza che nasca in noi la paura e il fastidio di occuparsi di cose oggettivamente piccole, di certo meno affascinanti dei grandi ideali che nutriamo nei nostri animi ardenti, ma più concrete.
L'esempio della mobilitazione dei ragazzi del Liceo Classico di Campobasso, in cui la presenza materiale di una classe è stata salvata anche grazie alle voci di quanti hanno avvertito l'ingiustizia di quello che stava accadendo, è un punto di partenza importante.
E poi, c'è un imperativo che dobbiamo avere: essere belli.
La bellezza è un valore che dà significato a quello che facciamo, abbattendo e trascinando, con la sua forza dirompente, l'inerzia. Proprio perchè gli obiettivi che ci prefiggiamo sono ora più difficili da ottenere, abbiamo l'imperativo persino morale di coinvolgere quanti più soggetti possibile, andando a suscitare e rinnovare la rabbia, le idee e la spontaneità di tutti.
In ambienti più vicini a quella che ora è la mia realtà, la chiamano estetica del conflitto. Io, che per la limitatezza del mio orizzonte culturale sono più moderato, voglio definirla estetica del dissenso.
Siate creativi, siate spontanei, siate accattivanti. Fate parlare di voi e raccogliete simpatia.
Sono stanco, personalmente, dei soliti discorsi sul nostro grigiore, sulle nostre manifestazioni sempre uguali, sulle nostre bandiere ormai logore. Abbiamo bisogno, per inseguire il nostro sogno, di rinnovare le nostre logiche e – perchè no? - i nostri riferimenti, non rinunciando mai all'espressione della nostra identità ma senza per questo sentire la necessità di arroccarci a difesa delle gabbie che ci siamo costruiti solo per avere la possibilità di decorarle con qualche foto del Che o la copertina del primo disco di Cisco.
Sorridete. Se vi chiedono di spiegare le vostre ragioni – amici, insegnanti o genitori - spiegatele, ricordando com'è fatta la comunicazione, usando la parola in maniera così efficace da modificare i pensieri. E poi ancora, di nuovo, fino a slogarvi le mascelle, sorridete. Divertitevi.
Dimostrate di essere consapevoli di quello che fate, e di saperlo fare in un modo interessante. I risultati, per quanto piccoli, arriveranno.

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