28 luglio 2011

Instead of a shell

"E ora come lo scrivi, questo pezzo?"
"Non so se ho davvero voglia di scriverlo, sai?"
"Tanto chi lo legge?"
"No, infatti. Nessuno. Quella decina di scemi che passa ogni giorno."
"Tanto lo sai che è solo per te, se ogni tanto lo fai."
"Sì. Però, vedi, è dura stavolta."
"Niente materiale per il raccontino, eh? Ti manca il contesto."
"E poi sarebbe troppo lungo, scritto con la solita prosa volutamente artificiosa."
"Ributtarsi sull'adolescenziale stretto? Quello stile da "provo a farti sorridere di me, sperando di essere preso almeno un po' sul serio"? Magari con qualche anafora. Con qualche 'noi' a inizio periodo sparso qua e là."
"Eh, ma infatti l'argomento è tornato di nuovo a essere quella roba lì: la scelta tra felicità e complessità, risolta in favore della seconda. Complessità di cui farmi un vanto, salvo poi volermene distaccare nelle mie povere e schematiche sublimazioni di esistenza. Comunque posso parlare in prima o in terza persona, al singolare o al plurale, ma di me starei parlando, come sempre."
"Adolescenziale."
"Meno che crearsi un interlocutore fasullo per poi esprimere in qualche modo quei contenuti, credo."
"Almeno c'è dietro un riferimento colto."
"Possiamo essere tardo-adolescenti più acculturati, tardo-adolescenti un po' meno frustrati, perfino tardo-adolescenti affermati. Ma sempre tardo-adolescenti rimaniamo."
"Parla di futuro, su. E' lì che volevi arrivare, secondo me."
"No, alla fine no. Ormai ho deciso che mangiare yogurt su un prato aspettando il sussidio di disoccupazione sia più appagante che possedere tre villini se si può acquistare un minimo di consapevolezza. Ed è un concetto tanto banale che nemmeno vale la pena di esprimerlo nuovamente."
"L'hai..."
"Zitto."
"E poi finisci per riporre fiducia in un avvenire da cui ti allontani volutamente, cambiando opinione a ogni minuto."
"E' vero, è assolutamente vero. Però, sul serio, per una volta ero concentrato sul presente."
"Esprimiti, forza."
"E' che abbiamo fatto un mestiere, del tendere verso altro. Una ragione di vita, un esercizio quotidiano.
E' l'immaginazione l'unica facoltà che ci rimane, stesi sul letto ad ascoltare gruppi di venti o trent'anni fa, convinti che quegli accenni di febbre mentale che derivano dall'ascolto ripetuto e spasmodico di This charming man siano segno di vivacità intellettuale, piuttosto che sintomi di una malattia dello spirito da cui non riusciamo a liberarci in alcun modo.
E' la fantasia la strada che ci permette di vedere in Nietzsche un modello comportamentale in cui credere autenticamente, mentre leggiamo di oltreuomo nel pigiamone di flanella compratoci da una madre che - povera - non ha poi così tanti motivi per essere bistrattata.
Sono le nostre chimere le uniche vie che ci portano a credere in noi, quando cerchiamo di 'comporre qualche bel verso che provi a noi stessi che non siamo gli ultimi degli uomini, che non siamo inferiori a quelli che disprezziamo', mentre - scrivendo - finiamo per citare Baudelaire."
"Eppure non devi trovarti così male, se indulgi così tanto in quelle 'chimere'."
"No, e forse non è davvero male. La più anarchica delle idee è l'idea sull'idea, il più sregolato degli studi è lo studio dello studio, il più produttivo dei pensieri è il pensiero sul pensiero, e debilitarsi a tal punto in questa continua analisi dell'analisi dell'analisi dell'analisi dell'autoanalisi riesce a trascinare in uno stato di stanchezza e nausea così esistenzialmente totalizzante da poter essere trovato perfino interessante."
"Sperando di..."
"Aspirando ad una sorta di paralizzante incoscienza da cui però, nel momento in cui arriva, sono terrorizzato, ricercando subito una parvenza di reintegrazione nei canoni stabiliti."
"E quindi... Era questo che volevi dire, in definitiva?"
"Sì, più o meno. C'era solo un'ultima frase, sull'inevitabile tendenza di sprecare tempo nell'implorarmi di non perderne."
"Capito."
"Pubblica post, dai."

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