9 agosto 2011

Dietro al vetro d'un bicchiere

Era benessere, quel che provava.
Foto e immagini consuete alla sua sinistra, un affresco piuttosto approssimativo oltre la mano con cui sfogliava le pagine, un libro, e il cellulare.

Sorseggiava con insolito candore l'assenzio appena messo sul conto, cercando goffamente di riprodurre agli occhi dei suoi modesti simili l'aria anonima e smarrita di quegli avventori variamente riprodotti nei quadri che avevano riempito la sua adolescenza.

Leggeva, avvolto nelle rilucenti tenebre della sua solitudine, un volume trovato in quel luogo fin troppo familiare, senza curarsi dello squallore regnante intorno a lui, senza voler dare a intendere la propria, intima, abiezione. Perso nelle pagine di quel Seneca consumato, il cui giallore sembrava rivelare la sorpresa di essere finito proprio lì, sugli scaffali di una bettola di periferia, tra un fumetto di Rat-Man e una biografia di Tom Jones.

Cullava quei fogli accartocciati, li sfogliava con cura, come a voler ridare loro dignità. Ne assorbiva ogni lettera sbiadita, lasciandosi accarezzare dalla musicalità dissonante della prosa, quel susseguirsi di frasi nominali e improvvise esclamazioni che tanto, troppo, gli sembravano in contrasto con la rigorosa sistematicità del pensiero stoico.

Le orecchie rivolte alla melodia dei Led Zeppelin offerta dalla casa (non il massimo dell'atmosfera, ma non si può certo aver tutto), si distaccò dall'armonia artificiosa dei suoi pensieri appena vide i capelli lunghi del proprietario del locale inserire una moneta in una macchina che fino ad allora non aveva neppure notato.

Non potè fare a meno di notarlo prendere tre freccette da una scatoletta. Freccette che - nella sua fantasia alcolica - gli apparivano dardi sconclusionati, stanchi simulacri di antiche armi, giocose riproduzioni di morte.

Lo ammirò riprodursi in movimenti flessuosi, perfettamente coordinati, prodotti di ataviche abitudini, di allenamenti quotidiani in una solitudine forse non più feconda della sua, ma
sicuramente più affascinante.

L'armonia simbolica di quei gesti, di quel tanto rapido quanto calcolato distendersi del braccio destro, lo distolse dalla concettosità senecana, rivelandone limiti e difetti, trascinandolo nel vortice dell'estasi estetica, trasmettibile - lo sapeva già da tempo - dalle più sottili piccolezze.

Quasi in contemplazione, ormai, muto come muto è lo stupore, lo osservò chiudere la partita.
L'aria contratta del suo volto nello scagliare l'ultima freccia, la distensione dei suoi lineamenti nel veder compiuta la sua minuta opera d'arte quotidiana, la soddisfazione dipinta sulle sue labbra nello spegnere il quadro.

"E' solo esercizio", disse, quasi tentando di giustificarsi.

"Che contro le passioni si deve combattere d'impeto, non di sottigliezza, e volgerle in fuga non con piccoli colpi ma con un assalto frontale."

"E' solo esercizio...", lo udì ripetere.

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