22 gennaio 2011

Train in vain

Prese lo specchietto.
Un gesto automatico, ormai.
Come sorridere vedendo la neve. Come togliere e rimettere il tappo della penna nei momenti di noia. Come smettere di leggere quando bussano alla porta.
Come specchiarsi, quando si incontra una persona per la prima volta.
Perchè l'idea che avesse di lei potesse combaciare il più possibile con quella di chi le si stava avvicinando. Chiunque fosse. Soprattutto in quel tipo di situazione. Come ogni mattina.
Guardò la sua immagine riflessa. I capelli fuori posto, le occhiaie scavate, le labbra troppo carnose. Che a lei non dispiacevano, ma solo a lei.
Solo dopo aver terminato il suo piccolo, furtivo rito quotidiano, rivolse l'attenzione al suo nuovo amico porzione singola, come li chiamavano in un film che aveva guardato milioni di volte.
Occhiali neri, maglietta firmata.
Dalla vita in giù non riusciva a vederlo, ma avrebbe scommesso metà della sua borsa di studio su un paio di jeans strappati ma non troppo.
"Ciao."
"Ciao."
"Posso sedermi qui?"
"Fai pure."
Meglio lui di una settantenne che non ti fa studiare perchè si sente in bisogno di parlare del meteo, e delle sue rughe e della nipote che ti somiglia tanto e che proprio non riesce a trovarlo un posto fisso, anche se si è laureata con 110 e lode e ha fatto tre - come si dice, aiutami tu chè sei più giovane... "Master." Ecco, sì, dolcezza, master.

Meglio lui, decisamente, nonostante i jeans strappati ma non troppo.
Nel peggiore dei casi, avrebbe visto i suoi capelli troppo fuori posto, le occhiaie troppo scavate, le labbra troppo carnose, e l'avrebbe lasciata perdere.

La verità è che non le piaceva, il treno.
Un tempo le sembrava simbolo di indipendenza e libertà. Muoversi da sola, senza bisogno di essere accompagnata. Conoscere nuove persone. Poter persino parlare liberamente di se stessa, con la consapevolezza di non dover più reincontrare le persone con cui lo stava facendo.

Ma la bellezza è solo nella novità, e l'entusiasmo si spegne nello spazio di un attimo.

Non le piacevano le amicizie porzione singola, non le piaceva guardare il finestrino senza poter scorgere nulla. Non le piaceva la retorica delle rotaie che portano dappertutto, e della meccanica perfetta degli scambi, e dell'affascinante divisa del ferroviere, e dell'attaccamento alla pura macchina del personale di bordo.

Adesso, il treno simboleggiava solo il totale annullamento della facoltà umana di scegliere.
Perchè con il treno si hanno solo due opportunità: prenderlo, e seguirlo fino a destinazione, anche se non è precisamente dove vorresti andare.
O perderlo, e rimanere fermo.
E a lei, a lei che amava le vie di mezzo, più per un'ansia di distinzione che per una morigeratezza di costumi, quel meccanismo di scelta costretta, di costi e benefici - se lo stava ripetendo da tre ore, ormai - non piaceva affatto.

Riguardò il tizio dagli occhiali scuri. Lo scrutò per un attimo, approfittando del suo perdersi nei fili terribilmente intrecciati delle cuffiette Sony da 80 euro.
Ed un secondo prima che lei potesse distogliere finalmente gli occhi, i loro sguardi si incrociarono.

"Hai voglia di parlare, vero?"

2 commenti:

  1. Mi perdoni se non ho capito? :)
    Comunque- senza sembrare troppo uno scassa balle - credo si dica "i jeans" :)

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